Vocabolario

Leccarda


Sostantivo
leccarda f sing
  1. recipiente utilizzato anticamente per raccogliere i grassi che colavano dagli spiedi
  2. (per estensione) la piastra (generalmente di colore nero) utilizzata nei moderni forni per la raccolta dei grassi di cottura

dall’aggettivo leccardo ( fonte Treccani); da: Leccardon Le fonti ottocentesche (a partire dal Vocabolario domestico dell'Olivieri) e l'uso tradizionale concordano nell'attribuire a questa voce il significato di 'ghiottone, persona golosa', che trova corrispondenza nell'italiano antico leccardo 'goloso'. In genovese Leccardon non è attestato prima dell'Ottocento, ma nell'italiano fortemente regionalizzato del polemista politico Andrea Spinola, vissuto nella prima metà del Seicento, è già presente la forma leccardìa per 'ghiottoneria' (anch'essa comune anche all'italiano antico), circostanza che fa induce a ritenere che in Liguria la nostra voce fosse già presente almeno a quell'epoca. Il rapporto con l'italiano leccarda 'recipiente dove si raccoglie il grasso che cola dall'arrosto cotto allo spiedo' (ripreso anche dal Casaccia) è evidente, ma non si tratta di una derivazione, caso mai del contrario: è la leccarda infatti a essere 'golosa' perché raccoglie il grasso che cola, comportandosi in tal modo come un ghiottone impenitente. Tutte queste forme derivano naturalmente, di volta in volta, dall'italiano leccare o dal genovese leccâ con l'aggiunta del suffisso di antica origine germanica -ardo che possiede in genere una valenza peggiorativa o spregiativa (come in bugiardo, bastardo, codardo ecc.), accompagnato, nel caso che qui ci interessa, dall'accrescitivo -one. Va ancora considerato che derivati del verbo leccâ vengono spesso associati in genovese a concetti come 'l'essere golosi', la 'golosità' e così via: nell'Anonimo Genovese (fine sec. XIIII) lecaor, letteralmente 'leccatore' significa anche 'ghiottone', e nelle prose di Gerolamo da Bavari (sec. XIV), lecarìa, lecharìa significa di volta in volta 'leccornia' e 'ingordigia'; lechezar poi, vale 'comportarsi da ingordo' in tutta la letteratura genovese medievale. A partire dal sec. XVI compare anche la forma leccaresso 'persona golosa' (anche nel senso metaforico di chi nutre uno smodato appetito sessuale), destinata nel corso del Settecento a perdere la -r- intervocalica trasformandosi nella forma attuale leccaèssu (in Riviera), leccæso (a Genova città), ben documentata nei vocabolari anche se ormai poco diffusa.

Etimologia
dall’aggettivo leccardo ( fonte Treccani); da: Leccardon Le fonti ottocentesche (a partire dal Vocabolario domestico dell'Olivieri) e l'uso tradizionale concordano nell'attribuire a questa voce il significato di 'ghiottone, persona golosa', che trova corrispondenza nell'italiano antico leccardo 'goloso'. In genovese Leccardon non è attestato prima dell'Ottocento, ma nell'italiano fortemente regionalizzato del polemista politico Andrea Spinola, vissuto nella prima metà del Seicento, è già presente la forma leccardìa per 'ghiottoneria' (anch'essa comune anche all'italiano antico), circostanza che fa induce a ritenere che in Liguria la nostra voce fosse già presente almeno a quell'epoca. Il rapporto con l'italiano leccarda 'recipiente dove si raccoglie il grasso che cola dall'arrosto cotto allo spiedo' (ripreso anche dal Casaccia) è evidente, ma non si tratta di una derivazione, caso mai del contrario: è la leccarda infatti a essere 'golosa' perché raccoglie il grasso che cola, comportandosi in tal modo come un ghiottone impenitente. Tutte queste forme derivano naturalmente, di volta in volta, dall'italiano leccare o dal genovese leccâ con l'aggiunta del suffisso di antica origine germanica -ardo che possiede in genere una valenza peggiorativa o spregiativa (come in bugiardo, bastardo, codardo ecc.), accompagnato, nel caso che qui ci interessa, dall'accrescitivo -one. Va ancora considerato che derivati del verbo leccâ vengono spesso associati in genovese a concetti come 'l'essere golosi', la 'golosità' e così via: nell'Anonimo Genovese (fine sec. XIIII) lecaor, letteralmente 'leccatore' significa anche 'ghiottone', e nelle prose di Gerolamo da Bavari (sec. XIV), lecarìa, lecharìa significa di volta in volta 'leccornia' e 'ingordigia'; lechezar poi, vale 'comportarsi da ingordo' in tutta la letteratura genovese medievale. A partire dal sec. XVI compare anche la forma leccaresso 'persona golosa' (anche nel senso metaforico di chi nutre uno smodato appetito sessuale), destinata nel corso del Settecento a perdere la -r- intervocalica trasformandosi nella forma attuale leccaèssu (in Riviera), leccæso (a Genova città), ben documentata nei vocabolari anche se ormai poco diffusa.


La parola di oggi è

Terzo


terzo m sing (singolare maschile: terzo, plurale maschile: terzi, singolare femminile: terza, plurale femminile: terze)

  • che è preceduto dal secondo e che precede il quarto. Corrisponde al numero cardinale 3
  • Sostantivo terzo m sing (plurale: terzi)
  • (frazionario) una delle tre parti in cui è diviso l'intero
  • Sostantivo terzo m sing (singolare maschile: terzo, plurale maschile: terzi, singolare femminile: terza, plurale femminile: terze)

    1. persona non coinvolta in ciò di cui si sta discutendo, spesso al plurale
    2. Sono venuto a saperlo da terzi .

    Sillabazione
    tèr | zo

    Pronuncia
    IPA: /'tɛr.ʦo/

    Etimologia
    dal latino tertius

    Derivate

  • (numerale) terziario, terzina, terzino, terzogenito, terzomondista

  • Correlate

  • primo, secondo, quarto, quinto

  • estranei (s.m.), altri (s.m.)...

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